martedì 7 maggio 2024

Una bella Madonna un po' imbronciata

 

Il “mese di maggio” mi ha portato davanti a un’altra delle tante icone che abbiamo in casa. Questa si trova proprio vicino al mio ufficio, ma non mi ha mai detto niente, anzi, non mi è mai piaciuta. Ma pregandola, mi è apparsa più bella del solito (niente apparizioni!), nonostante quel mento così pronunciato, che la fa apparire… imbronciata. Proprio vero che la preghiera trasforma tutto!

Il quadro è incorniciato con gli stemmi di Pio XII, quello degli Oblati, il monogramma di Maria e cinque invocazioni: Mater Christi – Amor Caritatis – Pax – Amor Justitiae – Regina pacis. Una piccola litania!

Di valore il paesaggio lontano, cinquecentesco.

Adesso, quando ci passo davanti, reciterò ad alta voce almeno una di quelle litanie…

Ho cercato chi ne fosse l’autore, così per la prima volta mi sono accorto che in un angolo, piccola piccola, c’è la firma e la data: “Rev. J. Rose o.m.i. 1952”.

Chi sarà mai questo p. Joseph Rose? Gli archivi mi aiutano.

Era nato a Bonn, in Germania, il 24 gennaio 1877.

Era infatti un artista! Lo avevano scoperto presto durante gli anni della sua formazione in Germania. Il suo superiore, p. Leynhecher, nel 1898, alla vigilia degli ordini minori, scriveva di lui “La sua intelligenza ha sbalordito; non si aspettavano che riuscisse così bene allo scolasticato. A volte è un po’ ingenuo. Artista (notevole talento per il disegno)… Cuore tenero e sensibili, riconoscente per natura… è pieno di ardore per la sua perfezione. Di salute cagionevole e tuttavia sano”.

È un ritratto che rimarrà inalterato lungo tutta la sua vita. Sempre fragile di salute, accusa mal di testa, stanchezza…, uno di quelli che sembra siano sempre per morire, eppure capace di arrivare a 80 anni senza mai venir meno ai suoi impegni di missionario in mezzo alla gente. Sensibile e semplice, sa affrontare situazioni difficili e guidare le comunità. E soprattutto, artista: musicista, pittore, fotografo.

Una volta diventato Oblato ricevette la prima obbedienza per in Messico. Ne era felicissimo. “La gioia che provo nel ricevere l’obbedienza per il Messico, scrisse al suo superiore, è ineffabile. Come sono grato a Dio che mi sceglie per prendere parte a una nuova fondazione. Oh, sì, lo ringrazio e lo ringrazierò ogni giorno della mia vita” (3 marzo 1902). Pochi giorni dopo gli ripete: “Ve lo dico e lo ripeto, che andrò volentieri in Messico per far parte d’una fondazione, perché so che il buon Dio mi ha chiamato attraverso la vostra persona. Ho pregato molto perché il Buon Dio mi doni la grazia necessaria per compiere i miei doveri di stato” (20 marzo 1902).

Partì con libri e bagagli come tutti gli altri, ma in più aveva con sé una cassa di articoli da fotografo.

La prima lettera dal “nuovo mondo”, datata 20 maggio 1902, è da Chantla. Racconta brevemente del lungo viaggio in mare che lo aveva portato in Messico. I primi due giorni aveva sofferto di mal di mare, ma poi tutto andò liscio.

Il vescovo di Oaxaca aveva invitato gli Oblati nella diocesi per aprirvi un seminario. Quello che offriva erano soltanto due piccole scuole, una in città e una nel paese di Chautla, con ragazzi, come scrive p. Joseph, “poveri di latino come di ogni altro bene”. Il padre, insieme ad un pugno di altri Oblati, inizia con un entusiasmo straordinario il nuovo ministero, cominciando con l’apprendimento della lingua spagnola, la direzione del collegio di Chautla, i contatti con la gente la domenica in una chiesa vicina. Dopo appena un anno è Oaxaca, nel seminario degli Auxiliarios. Ma anche questa è un’esperienza breve, senza futuro. Non ci sono le condizione per un seminario come Dio comanda! Eccolo allora a Puebla dove l’arcivescovo aveva offerto agli Oblati un collegio industriale. Otto anni come professore di arti e letteratura, durante i quali svolge anche il compito di direttore di musica nel “Collegio Pio”, dove poi viene nominato superiore.

In una lettera del 25 settembre 1903, ricorda al suo superiore quanto egli ami la pittura e la fotografia. Aveva già fatto alcuni disegni ad Hünfeld in Germania, ma adesso ha iniziato con la pittura a olio. Ha appena dipinto un Sacro Cuore, messo nel parlatorio, di cui “tutti sono contenti”, e un ritratto di sant’Eugenio de Mazenod. Seguono altri quadri, come santa Cecilia, l’Immacolata...

Una volta chiusa anche l’esperienza del collegio di Puebla, p. Joseph Rose si trova missionario tra messicani e gli indios di Metepec, nella diocesi di Tulancingo. Il 31 luglio 1912 scrive al superiore generale raccontando della nuova missione: “Sono arrivato a Metepec il 15 maggio, la sera alle 10, dopo un’ora a cavallo, sotto una pioggia battente. Bagnato fino all’osso, mi hanno dato dei vestiti asciutti. L’indomani, festa dell’Ascensione… mi sono messo subito al lavoro. Dopo otto giorni predicavo già una missione insieme a p. Stuhlmann e ieri abbiamo terminato la quarta missione con i frutti più consolanti. La parrocchia segue sei villaggi e ancor più numerosi rancho, alcuni a 2-3 ore di viaggio a cavallo”. Racconta dell’abbandono religioso e dei risultati delle prime quattro missioni: 78 matrimoni di coppie conviventi da anni, 1300 confessioni, 1800 comunioni. Poi conclude: “Ben triste, caro superiore generale, questa ignoranza religiosa… Occorre una salute di ferro e lo zelo di san Paolo e anni e anni per arrivare a qualche risultato”. Parla anche degli indiani “Otomiti”, che comprendono appena lo spagnolo e che dopo la messa “vanno in processione sulla montagna da dove portano giù un loro idolo davanti al quale, la mattina dopo, fanno esplodere del fuochi artificiali. La messa e l’idolo!”

Dal Messico al Texas, a Rio Grande City, Del Rio, e finalmente superiore della comunità dei missionari e parroco della città di Laredo. Anche qui gli amatissimi messicani. Sono gli anni più bella della sua vita, durante i quali si sente in piena vocazione: missionario dei poveri!

Nel 1923, da Laredo, descrive lo stato di abbandono in cui aveva trovato la gente, in una parrocchia molto vasta, 32.000 abitanti, di cui 23.000 messicani. Di questi soltanto 3.000 assistono alla messa domenicale. “È triste – annota – vedere la fede completamente morta di questi poveri messicani… Tuttavia il bene si fa, lentamente”. In altre lettere parla delle “fatiche” del missionario “soprattutto quando il caldo opprimenti del Texas ci obbliga all’inattività… In generale i nostri lavori ci danno consolazione, ma resta ancora molto, molto da fare”.

“Questo è proprio il nostro scopo – leggiamo in una lettera del 16 dicembre 1924 – restaurare omnia in Christo, là dove la rivoluzione messicana ha lavorato contro lo spirito degli Oblati. Sono già 6 anni che mi trovo a Del Rio e spero che i mesi prossimi possa terminare il nuovo santuario della nostra chiesa messicana: Our Lady of Guadalupe. Che lavoro tra i nostri poveri messicani, ma sono ben disposti ad aiutarmi per portare a compimento il lavoro iniziato…”. Conclude la lettera augurando al destinatario quello che spera anche per sé: “Che il buon Dio benedica tutte le vostre opere e vi conceda una vita lunga tra noi per la sua gloria, la salvezza delle anime e il bene della nostra cara Congregazione”.

Restaurare omnia in Christo”: così padre Joseph intendeva la sua missione. Era il motto di Pio X, che riprendeva le parola della Lettera agli Efesini 1, 10 con le quale Paolo spiegava che il disegno di Dio è “ricapitolare in Cristo tutte le cose”. Pio X, morto dieci anni prima che p. Joseph scrivesse questa lettera, era stato il papa dei suoi primi anni di ministero, e gli aveva indicato lo scopo della vita: “evangelizzare i poveri…”, perché tutto fosse unificato in Cristo.

Ma non c’è esaltazione nel suo lavoro missionario. È una persona molto semplice, p. Joseph, va avanti a piccoli passi, crede nella sua vocazione e nella grazia di Dio che lo accompagna. È difficile per lui essere missionario, ma si trovava bene tra la sua gente.

Quel giugno del 1925 non si aspettava che gli arrivasse un ordine che gli avrebbe sconvolto la vita: la nomina, da parte del papa, a Prefetto apostolico del Pilcomayo, in Bolivia. Un mondo così lontano, in un ambiente così difficile, senza direttive chiare, dove bisogna cominciare tutto da zero…

Oltre un mese il viaggio da Laredo, attraverso New Orleans, l’Havana, il Canale di Panama, per arrivare ad Arica, il porto del nord del Cile, a soli 18 km a sud del confine con il Perù. Poi ancora da Arica a La Paz, per presentarsi davanti al Nunzio apostolico per la sua professione di fede (ed è già passato un anno!)

Ben più lungo il viaggio da La Paz al nuovo vicariato apostolico, attraverso Buenos Aires. Ma dov’era il nuovo vicariato apostolico? In mezzo a una foresta sterminata senza città né villaggi, piena di acquitrini, punteggiata soltanto da baracche militari, con indigeni nomadi. Il nuovo Vicario viaggia, per settimane, a dorso di mulo, unico mezzo per spostarsi. Un anno dopo il suo arrivo, in occasione della festa del Padre generale (28 agosto), gli scrive: “Abbiamo soltanto sofferenze, privazioni, penitenze e miserie da offrirvi, ma sopportando tutto con rassegnazione, presentando al Buon Dio tutte le spine con le nostre preghiere e il santo Sacrificio della Messa…”.

Una persona così delicata e sensibile (in fondo era un artista!), non sapeva da che parte cominciare, non poteva farcela: il Papa si era sbagliato, i suoi superiori si erano sbagliati, non si rendevano conto di dove l’avevano mandato; non per nulla quelle sterminate foreste le chiamavano “l’inferno verde”. Aveva compassione anche dei pochi Oblati tedeschi che gli avevano dato per iniziare la missione. Con molto candore scrive ai superiori: “Quantunque sottomessi alla nostra decisione, vi domandiamo il favore di voler permettere il ritorno al nostro precedente campo di lavoro: il ritorno dei Padri e che cari fratelli in Germania e il mio ritorno in Texas. Senza tenere conto della salute, l’interesse per la mia anima non mi permette più di accettare un’altra fondazione in un paese ignoto. Ho lavorato per 25 anni tra i messicani e alla mia età non posso più adattarmi a un’altra situazione. Desidero lavorare in qualsiasi posto in Texas, tra i messicani e vi chiedo di voler accordarmi questo favore”.

P. Joseph dovette tornare in Texas e continuò il ministero di prima nelle varie parrocchie e missioni nella Valle del Rio Grande: Brownsville, Del Rio, Brady, Rio Grande City, Mercedes. Nel 1949 era di nuovo a Laredo e con i soldi ricavati dalla vendita della sua collezione di francobolli e dei suoi quadri, poté costruirvi la casa parrocchiale; una sola pittura del Sacro Cuore gli aveva procurato 1000 dollari.

Non ce l’aveva fatta. Chi l’ha detto che un missionario deve essere sempre un eroe? Non fa parte della missione anche il fallimento? Non è soltanto con la morte che il chicco di grano porta frutto? Se oggi gli Oblati sono lì nel Chaco e portano avanti una fiorente missione, lo si deve anche a chi ha vi ha saputo morire.

Finalmente, anziano e sofferente, si ritira al noviziato. Il 10 maggio 1951, nel cinquantesimo di sacerdozio, scrive al superiore generale dicendogli che “essendo prima Oblato e poi prete”, ha compiuto il suo “dovere”: “consacrare la mia vita, come Oblato, all’evangelizzazione dei poveri; per me è la più grande consolazione nell’occasione delle feste per il mio giubileo d’oro”.

Il 12 maggio 1951 segue una bella lettera all’Assistente generale, per ringraziarlo degli auguri che gli ha inviato in occasione del suo giubileo d’oro sacerdotale, celebrato nel noviziato di Laredo; giubileo “che ha fatto un bene immenso spirituale ai nostri buoni messicano, che ora sanno meglio cos’è un padre Oblato per il bene delle loro anime. Non ho meritato – continua la lettera – tutte queste manifestazioni, perché è per il voto di obbedienza che ho lavorato nella vigna del Signore per il bene dei poveri secondo lo spirito del nostro Venerato Fondatore. Adesso posso comprendere meglio quello che cantiamo spesso qui al noviziato e dopo i ritiri annuali: Ecce quam bonum… Qui al noviziato cerco di aiutare il buon padre Maestro dei novizi con il buon esempio e un corso di musica per i cari novizi…”

Sì, è ormai ritirato al noviziato, debole, con scompensi cardiaci, artrite… al punto che devono chiedere un indulto alla Santa Sede perché possa celebrare la Messa seduto!

Nel 1954 al porto di Genova giunge una cassa con alcuni suoi dipinti, indirizzati al Superiore generale a Roma. Lo sdoganamento è complesso, ma finalmente i quadri giungono a destinazione. In quella cassa c’è anche il quadro che ora è collocato accanto al mio ufficio? Certamente c’era un quadro dell’Immacolata, giusto in tempo per il Congresso internazionale mariano, al quale partecipano molti Oblati. In quei giorni alla casa generalizia si tiene anche un congresso oblato mariano e nella sala del congresso viene collocato il quadro dell’Immacolata dipinto da p. Rose. 

il quadro dell’Immacolata dov’è finito? L'ho cercato... e finalmente sono riuscito a trovarlo. Per adesso è in un ripostiglio...



 

lunedì 6 maggio 2024

Le giaculatorie di san Filippo Neri

Quinta tappa nella nostra conoscenza dei fondatori a Roma. Questa volta è la volta di Filippo Neri, venuto a Roma da Firenze. Ha vissuto naturalmente nel quartiere dei fiorentini, dove c’erano i banchieri e gli argentieri e tutte le loro maestranze a artigiani. È diventato romano, il santo più amato dai romani, ma “Pippo il buono” è rimasto sempre fiorentino!

Per la nostra visita abbiamo scelto il luogo dove ha vissuto più a lungo, 33 anni, e che più gli era caro, San Girolamo della Carità, là dove si dice che sia venuto ad abitare san Girolamo quando nel 382 papa Damaso lo chiamò a Roma per affidargli la traduzione, l’interpretazione ed il commento della Bibbia. Era quella la casa della matrona Paola, che poi seguì Girolamo a Betlemme.

Abbiamo passato una bellissima mattinata in quel luogo carismatico con tutti gli studenti, incantati. E ce n’è di che! Non a caso qui venivano a visitarlo Ignazio di Loyola, Camillo de Lellis, Carlo Borromeo, Felice da Cantalice. Che concerto di santi contemporanei, con la quali era legato e con la quale si sono scritti, ma anche Giovanni Leonardi…

Ho parlato con gli studenti della spiritualità di san Filippo… Poi ho letto alcune delle sue Le “giaculatorie” che, assieme alle “massime” lasciano intuire il suo mondo interiore. Esse denotano una spiritualità affettiva, semplice e profonda, fuori dagli schemi. A volte le faceva ripetere ai suoi discepoli in forma di litanie. Eccone alcune:

Quando ti amerò con figliale amore? lesù mio, ti vorrei amare.

lesù mio, non ti fidar di me. lesù mio, io te l’ho detto: se tu non mi aiuti, non farò mai bene.

Io te l’ho detto: io non te cognosco.

Signor mio, io vorria imparar la strada d’andar al cielo.

Io ti cerco e non ti trovo, lesù mio, e vien da me.

Non ti fidar di me, lesù mio, perché non farò mai bene.

Io te l’ho detto: non farò mai bene, lesù mio, se tu non mi aiuti.

Ancora non ti cognosco, lesù mio, perché non ti cerco.

Se io cognosse te, cognoscerei ancor me, lesù mio.

Che cosa potria io fare, lesù mio, per fare la vostra voluntà? Che cosa potria fare io, lesù mio, per compiacervi?

Io non t’ho mai amato et te vorria pur amare, lesù mio.

Se tu non mi aiuti, lesù mio, io caderò. Che cosa farò se tu non m’aggiuti, lesù mio? Se tu non mi aggiuti, son ruinato, lesù mio.

Vergine Maria, Madre de Iddio, pregate lesù per me.

Io ti vorria amare, lesù mio, et non trovo la via.

Io non t’amerò mai, lesù mio, se tu non m’aggiuti.

Io non voglio far altro, se non la vostra santissima volontà, lesù mio.

Io ti vorrei servire, lesù mio, e non trovo la via. Spiritum rectum innova in visceribus meis.

Tui amoris in me ignem accende.

Io ti vorria trovare, lesù mio, et non trovo la via. Ego non te diligo: et te vorria pur amare.

Io non posso far bene, se tu non mi aggiuti, lesù mio.

Io vorrei fare la tua volontà, lesù mio.

 

domenica 5 maggio 2024

Con i bambini alla scoperta di Gesù Eucaristia

Dopo i santi antichi, da Brigida di Svezia a Giuseppe Calasanzio, i “santi” contemporanei, prima Piccola Sorella Maddalena, oggi Chiara Lubich. Queste due ultime le abbiamo incontrate in case ordinarie: le loro abitazioni romane non sono state trasformate in chiese o luoghi artistici.

Così oggi siamo stati insieme con i soliti bambini, una ventina, più quelli ancora in braccio… accompagnarti dai genitori: una bellissima brigata. La casa di Chiara in via Valnerina a Roma (di cui ho già parlato: https://fabiociardi.blogspot.com/2023/03/via-valnerina-luogo-carismatico.html), oltre a un grande terrazzo ha una piccolissima cappella, e questa è diventata il fulcro del nostro incontro: Gesù Eucaristia.

Ed eccoci alla scoperta della lucetta rossa che indica il luogo dove c’è Gesù, la preghiera per chiedere la sua luce e il suo calore, il racconto del miracolo di Bolsena, e avanti, avanti… con i bambini incantati…

Sì, i bambini sono capaci di mistica, di un rapporto immediato, diretto con Dio. «I bambini – scriveva Chiara il 29 luglio 1949 – sognano sempre: essi fanno una vita finta perché giocano sempre: è l’ingenua aspirazione al Paradiso per il quale sono ed erano fatti. Ma sono più sinceri degli uomini i quali vogliono far della vita finta una vita seria e non lo è…».

«I bambini, i piccolini – dirà poi in una conversazione il 19 agosto 1966 – non sono fatti per le cose normali di questo mondo; i bambini, soprattutto i piccoli e le piccole, sono fatte per le favole, per le fate, per qualche cosa che supera, vorrei dire, la vita quotidiana umana, qualche cosa che va al di là del nostro modo di concepire la vita; qualche cosa di bello ma di più che bello come normalmente si intende, qualche cosa, insomma, che ha del miracoloso». 

Nei bambini è davvero presente il senso del divino. Basta favorirlo, così che vanga alla luce...



sabato 4 maggio 2024

Rimanere

Nel Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua il verso “rimanere” è ripetuto sette volte. Sette volte! Il numero della perfezione.

Rimanere, ossia dimorare stabilmente. Non è una situazione passeggera: è permanente e definitiva, per sempre.

“Rimanete”! È la richiesta della più piena comunione, di una intimità sincera.

Rimanere dove? “Nel mio amore”. Gesù, che ci ama fino a dare la vita per noi, esprime il desiderio di essere riamato. Incredibile. Verrebbe da pensare: ma che se ne fa del mio amore? Pensa quanto gli siamo preziosi! Ci desidera!

Rimanere come? L’indicazione è chiarissima, vivendo il suo comando di amarci tra di noi. Quando Filippo gli chiede di mostrarci il Padre Gesù gli risponde che chi vede lui vede il Padre. Ora, analogamente, ci dice che vedremo lui guardando chi ci è attorno: “Vedi il fratello? Vedi il Signore”.

Gesù vuole che rimaniamo nell’amore reciproco e in questo modo egli rimane con noi.

 

venerdì 3 maggio 2024

Un mese per Maria (un mese solo?)

Si fa ancora il mese di Maria? In risposta al mio blog sull’inizio del mese di Maggio mi è arrivato questo messaggio da Taranto: “Lunedì faremo la parola di vita a casa mia e attenderemo l'arrivo della Madonnina che girerà per le famiglie”. La Madonna gira ancora per le famiglie come una volta! E per di più abbinata alla parola di Dio!!!

Ci vuole poco per celebrare ogni giorno Maria. Io mi sono proposto di onorare una sua immagine al giorno, visitandola nei vari luoghi della nostra casa qui in Via Aurelia: non mi basteranno i 31 giorni del mese di Maggio. Tre Ave Maria, oppure una piccola serenata del tipo “Tota pulchra…”.

Oggi sono stato davanti alla statua in giardino…


giovedì 2 maggio 2024

Sola con te

Settembre 1958. A Lourdes, con un grande congresso mariano, si celebra il centenario delle apparizioni. Chiara Lubich vi prende parte e scrive per la rivista “Città Nuova” un diario dettagliato, segnando giorni e ore. Non le è facile seguire le relazioni perché offerte in varie lingue, «già i soli titoli, però, ci inondano l’anima: “Maria, Regina vittoriosa di tutte le battaglie di Dio”, “Il regno di Maria condizione essenziale per l’avvento del Regno di Cristo”, “Lourdes e Fatima”, “Applicazione pratica del parallelismo fra Maria e la Chiesa”». Lourdes le appare come una “chiesa-città”. Il sole che splende l’ultimo giorno, il 17 settembre, «ci permette di vedere la città e soprattutto la grotta nel suo incanto e la basilica nel suo splendore. (…) a Lourdes Maria ti avvolge da tutte le parti e ti pare che l’anima sia in un mare di amore. (…) Oh, Lourdes, città di Maria, in te solo Maria regna madre e regina! (…) Vivendo nel tuo clima di fede e di preghiera, di amore e di conforto, si comprende il Cielo».

Questo è quanto Chiara vede attorno a sé. Quello che vive dentro di sé è rimasto inedito, confidato alle pagine del suo diario. Da otto anni era sotto inchiesta presso il Sant’Uffizio del Vaticano, che stava vagliando la sua vita e la sua opera. L’anno prima aveva scritto una lettera ai Focolarini nella quale manifestava il timore che venisse allontanata dal Movimento, forse mandata in convento. Era comunque convinta che «l’Opera è di Dio e che per questo anche lo strumento di cui Dio si servì, può esser rimosso».

Nel settembre del 1958 siamo ormai alla vigilia dell’approvazione, ma la sospensione rimane. Pochi giorni prima, il 5 settembre, su “Città Nuova”, era apparso un suo scritto nel quale confidava che Dio poteva trovarlo ovunque, ma dove sempre lo trovava era nel dolore, in qualsiasi dolore, anche in quello che stava vivendo in quel periodo.

E lì a Lourdes sente la solitudine e l’abbandono. Cosa sarà di lei non lo sa ancora. Al mattino del 15 settembre, mentre si trova nella sacrestia, al termine della messa, «un campanello, suonato da un ragazzo, ci fa ritirare lungo il muro». I pensieri le si accavallano e quella marginalità fisica le sembra un simbolo: la fa sentire come «in una parte molto addentro della Chiesa: come nella Sua sacristia spirituale… Il nostro posto di ora è ancora catacombale come quel corridoio e il nostro compito è mariano…».

Nel pomeriggio nel diario annota:

Ore 15.00: Sono sola in camera e un senso di solitudine e di timore mi prende. Ormai non posso più tornar indietro.

Vedo troppo chiaro, Signore, che le cose e le persone che ho lasciato - e parlo di quelle cui sono legata soprannaturalmente - non le posso più considerare. Così sarò fra poco nel prossimo giorno della mia venuta da Te: sola con Te. Ed a Te solo dovrò render conto della mia vita.

Qualche lacrima: Ma che le suore di clausura saranno sempre in questo vuoto nella loro cella? Oh! sì, capisco: questa solitudine sei Tu. Quando mi scegliesti mi offristi in dono il tuo abbandono. Me lo ricordo: era giorno di nozze allora e la mia, forse, più grande felicità, è che son certa che sotto questa veste Ti donasti a me.

È giusto, è vero, lo vuoi Tu, ogni mio atto d'amore per Te Abbandonato. Non piango più: la cameretta si è riempita e dietro la Luce del Tuo Volto ho visto e vedo quelli che T'hanno amato e T'amano così. "Conserva nel Tuo Nome quelli che mi hai dato affinché siano uno come io e Te."

Ore 16,30: Piove. Ci si avvia dall'albergo alla Grotta.

Ore 22,30: Bernardetta ripeteva morendo, alla fine di una preghiera: "Povera peccatrice, povera peccatrice". E il libro soggiunge: "Era un disco rotto". Era un disco rotto. Sì, è un disco rotto. E forse questo disco non s'aggiusta in questa vita. Questo senso di paura che spesso mi prende e specie quando sono sola: per l'impressione che qualcosa mi separi da Dio, è un'eterna canzone di dolore... Mi butto in ginocchio e piango e invoco: Mamma, Mamma, Mamma mia! Ho un po' di voce per chiamarti perché mi vedo in Te. Anche Tu fosti tanto sola mentre aiutavi la Chiesa a nascere. Tutto il tuo Bene era al di là. Mamma, Mamma mia! Ma il Sacerdote m'ha detto di risolvere radicalmente questa cosa. E se a lui obbedisco, obbedisco a Gesù. "Sì, lo faccio con tutto il cuore". "Ho un solo Sposo sulla terra..."

 

mercoledì 1 maggio 2024

Il regalo della Madonna

In questo inizio del mese di maggio la Madonna ci ha fatto un regalo: i voti perpetui di 7 dei nostri giovani (uno ha 45 anni!) che studiano qua a Roma, provenienti da Polonia, Pakistan, Indonesia, Sri Lanka, Francia, Stati Uniti.

 Sì, c’è ancora speranza per il futuro… e si basa sul presente! Quest’ultimo anno hanno fatto i voti perpetui una sessantina di giovani Oblati… Una benedizione.